LIBERO CECCHINI, ARCHITETTO PER L’ARCHEOLOGIA

La Soprintendenza ricorda sul quotidiano L'Arena l'importanza della figura di Libero Cecchini

Già negli anni ’60 le progettazioni di Cecchini, nell’ambito dei cantieri veronesi per la ricostruzione post-bellica, dovettero fare i conti o comunque intersecarsi con i temi della tutela e della ricerca archeologica, allora condotta dalla Soprintendenza alle Antichità di Padova. A quegli anni risale il progetto di Corte Farina con il grande complesso della Banca Cattolica del Veneto. Erano anni in cui il metodo stratigrafico negli scavi era ancora un miraggio e tutte queste operazioni - sia di tutela, sia progettuali- non furono accompagnate da alcuna impostazione scientifica, né da documentazioni adeguate.

Il primo incontro diretto, o forse, meglio, il primo impatto diretto, con l’archeologia avvenne per Cecchini fuori Verona, quando dalla metà degli anni ’60 si avviò il travagliato cantiere di restauro della Cittadella di Cagliari, dove in qualità di progettista affiancò Pietro Gazzola. A tutt’oggi tale intervento è considerato una delle più significative opere di restauro architettonico del Dopoguerra italiano. L’affioramento, sin dal primo sgombero delle macerie, del palinsesto che evidenziava sotto i bastioni sabaudi quelli aragonesi e poi le mura pisane e le fortificazioni romane e puniche, trasformò di fatto il cantiere in un grande scavo archeologico a cielo aperto e costrinse a rivedere le linee del progetto. L’esperienza di Cagliari rappresentò per Cecchini la prima vera sfida diretta con la complessità di una città stratificata – sebbene ancora una volta, in un’epoca in cui lo scavo era ancora uno sterro, condotto in modo più o meno controllato – e allo stesso tempo il terreno di prova su vari temi museografici, tra cui quello della museografia archeologica. Grazie al suo originale contributo il Museo Archeologico di Cagliari è un centro espositivo di prestigio internazionale, ancora oggi fondamentale per le soluzioni adottate per la struttura del contenitore museale.

Il secondo grande incontro con l’archeologia avvenne per Cecchini in Lombardia e precisamente a Pavia. Qui, alla metà degli anni ’70, Hugo Blake dell’Università di Lancaster, già impegnato dal 1972 nelle indagini della Torre Civica, avviava lo scavo del Broletto e della Chiesa di Santa Maria Gualtieri, considerati cantieri pilota ante litteram dell’archeologia medievale italiana. A questi scavi pionieristici dell’archeologia urbana nel nostro paese parteciparono giovani studiosi che avrebbero contribuito in maniera determinante alla diffusione dell’archeologia medievale in Italia settentrionale, come Gian Pietro Brogiolo, poi Ordinario nell’Università di Padova. A Pavia si sperimentarono per la prima volta le Schede di Uinità Stratigrafica e il Matrix, importati dal Department of Urban Archaeology of London, già molto avanti in quegli anni nell’applicazione e nella consapevolezza del metodo stratigrafico. Il cantiere di Santa Maria Gualtieri vide anche la discesa in campo del giovane archeologo inglese Peter J. Hudson, che avrebbe dedicato alla valutazione del potenziale urbano di Pavia e alla programmazione della ricerca la sua memorabile monografia edita nel 1981, di cui si nutrì gran parte degli studiosi che in quegli anni si avviavano a trattare le indagini di archeologia urbana.

L’architetto Cecchini ebbe l’incarico di progettazione e direzione del cantiere di restauro della Chiesa di Santa Maria Gualtieri ed eccoci al punto nodale che segnò il suo ingresso nel mondo dell’archeologia stratigrafica. Un’archeologia che non mirava più alla mera “messa in luce” delle strutture antiche, ma piuttosto alla loro analitica comprensione e al loro inserimento in una visione diacronica e contemporanea. Senza dubbio fu quello il terreno che lo portò alla maturazione dei concepts e dei principi che avrebbero accompagnato negli anni successivi una parte significativa della sua attività,

- il cogliere l’anima della città attraverso i segni materiali del suo divenire, che vanno quindi cercati e preservati;

- l’attenzione al palinsesto e alla sequenza storica e urbanistica dei siti, cioè alla stratificazione, come lui amava chiamarla;

- la consapevolezza che l’archeologia non è “una palla al piede”, ma un valore aggiunto;

- l’importanza di lavorare in team con gli archeologi in ogni cantiere di progettazione e restauro.

L’incontro di Cecchini con gli archeologi britannici non fu episodio estemporaneo, ma l’inizio di un lungo sodalizio con Peter J. Hudson e portò i suoi frutti a Verona, dove si aprirono di lì a poco le porte dell’archeologia stratigrafica con il famoso scavo del Tribunale. Nel 1976 Cecchini fu incaricato del progetto di ristrutturazione e ammodernamento dei Palazzi Giudiziari di Verona, finanziato dal Ministero di Grazia e Giustizia con ben 700 milioni di lire per la ricerca archeologica. Per l’epoca si trattava di una cifra stratosferica, giustificata dal fatto che le esigenze di sicurezza giudiziaria dell’epoca (quella degli anni di piombo…) richiedevano un’ampia aula sotterranea di Corte d’Assise con la conseguente cancellazione di tutte le preesistenze storiche. Cecchini era ben consapevole che quell’area, centralissima sia nell’impianto urbanistico romano, sia nel tessuto abitativo medievale, aveva una straordinaria potenzialità archeologica e suggerì di affidare lo scavo ad archeologi inglesi, perché solo loro avrebbero potuto gestire in tempi relativamente rapidi l’enorme complessità di un tale cantiere, esteso su oltre1500 mq con depositi di oltre 4 m di spessore. Lo scavo venne così affidato nel 1980 a Peter. J. Hudson, che sarebbe diventato la figura di spicco dell’archeologia urbana e dell’archeologia medievale veronese, dove egli creò anche una delle prime cooperative archeologiche italiane sul modello delle Units inglesi.

Questo scavo segnò l’avvio di una lunga collaborazione tra l’architetto veronese e l’archeologo inglese, concretizzatasi negli anni a venire nell’ambito di vari progetti, tra cui l’allestimento dell’area archeologica Scavi Scaligeri e dei complessi di San Procolo e di San Zeno. Nel declinare la figura di Cecchini “architetto per l’archeologia” andrebbero ripercorse le linee innovative dei diversi suoi progetti realizzati per la valorizzazione di queste e altre aree archeologiche di Verona e del suo territorio, ma ci limitiamo qui a rimarcare come Libero Cecchini sia stato un insostituibile appoggio per la Soprintendenza Archeologica del Veneto nelle attività - spesso vere e proprie battaglie civili - per la tutela e la valorizzazione delle testimonianze archeologiche.

La più importante tra tutte fu senza dubbio quella affrontata a Verona per la musealizzazione dei resti della Porta Leoni, incunabolo delle architetture cittadine. Il progetto, commissionatogli dalla Soprintendenza stessa e approvato dal Consiglio Nazionale per i Beni e le Attività Culturali, comportava inevitabilmente la pedonalizzazione delle vie Leoni e Cappello. La circostanza incontrò una fortissima ostilità da parte dei frontisti e del Comune. Si deve anche alla sua opera di persuasione dell’Amministrazione Comunale, presso cui godeva di grande stima, se i lavori poterono avere corso. Uomo persuasivo ma anche pieno di passione ed entusiasmo fino agli anni finali della sua attività, quando la sua opera a fianco degli archeologi si è concretizzata in nuovi progetti sul territorio, come nelle aree archeologiche di San Giorgio di Valpolicella e di Castelletto di Brenzone. Ogni elemento nuovo scaturito dal terreno era sempre importante per lui e come tale, meritevole di specifica e accurata conservazione, in quanto “segno” dell’uomo e della storia del sito.

Una lezione tecnica e umana per cui gli siano profondamente grati e che ci auguriamo gli sopravviva presso le nuove generazioni di archeologi e architetti veronesi.

 

Brunella Bruno e Giuliana Cavalieri Manasse

Soprintendenza ABAP di Verona

                                                                                          

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